DOMINIO, POTERE E LIBERAZIONE


 Posto che la maggior parte delle soggettività umane e non umane vive una condizione concreta di oppressione è forse necessario proporre alcune definizioni. Non perché esse, da sole, esauriscano il problema della liberazione. Però, tentare di donare uno o più significati a termini come dominio, potere, liberazione può avere tre scopi: riconoscere alcune pratiche effettive, difendersi da assalti autoritari ed agire, di conseguenza, secondo istanze autonome. Il dominio è la possibilità di disporre pienamente, di avere un’accessibilità incondizionata, di usare in maniera illimitata. A questo significato non corrisponde alcun atto concreto. Il dominio, così inteso, non esiste come processo rintracciabile e realizzabile. Le parole pienamente, incondizionata, illimitata non appartengono al lessico dell’esistenza: la pienezza, come condizione della completezza e della compiutezza, è estranea alla vita; l’incondizionato è negato dall’interdipendenza tra tutto ciò che esiste; l’illimitato giace nell’eterno, senza spazio e tempo. Che il dominio non esista concretamente non implica che non esista come scopo, direzione, riserva di senso: si può dire che sia, infatti, l’ossessione delle soggettività autoritarie e proprietarie. Tra dominio ed esistenza non c’è differenza. Anzi, il dominio diventa l’unico modo per esistere, per sopravvivere, per evitare i pericoli. Tutto deve essere dominato, tutto deve essere accessibile, tutto deve essere usato. Cosa significa, dunque, rendere utilizzabile? Come si produrrebbe l’accesso gratuito? Qual è l’operazione del dominio? La nullificazione. Le soggettività autoritarie e proprietarie considerano nulla le soggettività umane e non umane di cui intendono far uso. Assegnare una dose variabile di nulla ad una soggettività ne garantisce la controllabilità: “Tu non esisti, non ti muovi, non respiri, non capisci, non agisci, non conti niente”, sembra ripetere con voce, a volte muta a volte stridente, la soggettività che si presume dominante. Di fatto, il diritto all’esistenza viene distribuito in base all’utilizzabilità: “Tu esisti, solo quando io ti uso”. Tra nullificazione e uso c’è un rapporto di proporzionalità diretta: più si nullifica, più le possibilità d’uso aumentano; nessun ostacolo, nessun limite, nessun attrito. Negare l’esistenza significa negare la resistenza. Il dominio è avvertito come un’inerzia, un moto perpetuo che non può incontrare rallentamenti. Come abbiamo già accennato, questa direzione assoluta non si realizza mai completamente. Il ché non implica che non esistano residui della volontà d’uso illimitato: resti dolorosissimi, sopraffazioni evidenti che firmano indelebilmente corpi, desideri, visioni. Il potere è questo: ciò che si realizza della volontà irrealizzabile di dominio. Il potere è la possibilità di disporre non pienamente, di avere un’accessibilità condizionata, di usare in maniera limitata. Il dominio non esiste concretamente, il potere sì. Proprio in questa differenza, c’è lo spazio della liberazione. Il potere eredita dal dominio il desiderio di ridurre ogni complessità, di annullare ogni molteplicità, di cancellare le vite, di accentrare, di sopraffare, di minimizzare. Ma non tutto viene fagocitato dal potere. Il potere non è dominio. Esistono esistenze impreviste, resistenze che non si arrendono alla cancellazione, emersioni non normate, forze centrifughe che si autonomizzano. Il potere è rintracciabile, identificabile, effettivo. Il dominio si vorrebbe onnipresente, anonimo, introvabile. Soggettività umane e non umane rallentano la velocità del potere che, combattuto, diventa visibile. La volontà d’uso si scontra con chi rifiuta di essere nulla. Ecco, forse, uno dei possibili significati di liberazione: l’atto di affermare l’esistenza. “Esisto, anche se tu vuoi che io non esista”. “Non puoi disporre di me come vuoi”. “Non puoi negare che io esista solo perché non ti servo”. “Non puoi sopraffarmi mai completamente”. “Puoi provarci, ma non ci riuscirai, io mi opporrò, vivendo”.  



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