Filosofia è dominio. La vocazione egemonica della filosofia, attraverso Aristotele, Bacone e Leibniz

 

Vediamo una tigre mai vista prima. Abbiamo paura. Dobbiamo salvarci. Escogitiamo un piano. Se il piano funziona, ne usciamo vivi. Il piano è lo strumento attraverso cui si attua la salvezza. I piani possibili sono tanti, così come le salvezze. La filosofia è un piano. Il dominio è una salvezza. Aristotele ha ragione quando dice, nella Metafisica, che: “[…] Gli uomini hanno cominciato a filosofare, ora come in origine, a causa della meraviglia”, intendendo con meraviglia una forma di orrore/stupore sperimentabile di fronte al pericolo e all’ignoto – la paura della tigre. Ha, d’altro canto, altrettanta ragione Bacone, quando, nel Nuovo Organo, sostiene che: “La scienza e la potenza umana coincidono”. Dunque, la filosofia – come ogni tentativo di comprensione della realtà – è una teoria del dominio: dà conto del suo funzionamento e ne permette la riproducibilità. Resta da capire cosa significa dominare. Le definizioni possibili sono molte e la questione – come ogni questione – rimane aperta. Possiamo dire, però, che il dominato è tale perché non rappresenta un ostacolo per il dominatore. Dominare qualcuno/qualcosa significa poterne disporre. Per fare uso di qualcuno/qualcosa è necessario, più radicalmente, ammetterne la non esistenza. Certo, questa non esistenza è sempre relativa. Il grado di nulla presente nel dominato è certificato dalla filosofia. Poniamo che il possibile dominato sia il mondo fisico, così come appare all’essere umano. Il mondo fisico è come la tigre, rappresenta la possibilità del dolore, l’imminenza del pericolo, l’occasione della morte. Pertanto, il mondo fisico va annullato, aggirato, scalzato. Chi pretende di spiegare il mondo fisico attraverso il mondo fisico stesso non sta dominando. La vocazione egemonica di un discorso si manifesta nella sua capacità di far pronunciare al dominatore le parole seguenti: “Tu, dominato, per me, in qualche modo, non esisti”. La non esistenza è il piano inclinato su cui scivola l’uso illimitato. Spiegare il mondo fisico attraverso leggi non fisiche è un modo per stabilire un’ulteriorità rispetto alla fisicità, una sua non esistenza, che ne permette il dominio. “Io esisto più di te”, dice il dominatore, “dunque, ti sconfiggo”. Ad esempio, spiegare i fenomeni anche alla luce della causa finale, ovvero dello scopo a cui sono destinati, è un atto grazie al quale è possibile legare esplicitamente la comprensione al dominio, cioè alla realizzazione di una volontà d’uso. “Il mondo fisico non esiste autonomamente, ma deve la sua esistenza al fine che io gli attribuisco”. Leibniz, nel Discorso di Metafisica, ribadisce, forse implicitamente, questa connessione, stigmatizzando negativamente chi, di fatto, la rifiuta, come i materialisti del suo tempo, che spiegano il mondo solo attraverso le leggi del mondo. Essi sono come storici che, per spiegare la conquista di una fortezza da parte di un condottiero, parlano solo della polvere da sparo, della canna dei cannoni e dei muri infranti: “[…] invece di mostrare che è stata la provvidenza del conquistatore a fargli scegliere il tempo e i mezzi più opportuni, e la sua potenza a fargli superare tutti gli ostacoli”.

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