LEOPARDI: DIALOGO DI MALAMBRUNO E FANFARELLO
Malambruno è un mago. La sua arte: “può sgangherare la luna, e inchiodare il sole in mezzo al cielo”. Aspira alla potenza, cioè ad essere il principio del mutamento della realtà. Perciò, deve richiamarsi alla potenza suprema, inumana, illimitata, rappresentata da Belzebù. Si presenta Farfarello, uno dei luogotenenti del principe degli inferi, pronto ad esaudire i desideri del mago. Nobiltà, ricchezze, imperi, donne, onori, buona sorte: Malambruno non vuole nulla di tutto questo; fa, anzi, una strana richiesta: “Fammi felice per un momento di tempo”. Il mago è la figura dell’intera specie umana, che si percepisce come causa efficiente, motore del cambiamento, dominatrice del mondo. Dunque, questa istanza è propria di tutta l’umanità in quanto potente, trasformatrice, alteratrice. La risposta è secca. “Non posso”, dice Farfarello. A questo punto, è lecito chiedersi quale felicità il demonietto non può accordare a Malambruno. In termini generali, quale felicità, allo stesso tempo, è connaturata e incompatibile con la potenza? Quella che coincide con la realizzazione del desiderio infinito. Una beatitudine simile è impossibile, vista la sproporzione tra l’infinito dell’aspirazione e il finito del mondo. È un circolo vizioso: essere il principio del mutamento della realtà significa agire, ambendo, però, ad una pura speranza. Non è un caso che Malambruno non si arrende: “Ma non potendo farmi felice in nessuna maniera, ti basta l’animo almeno di liberarmi dall’infelicità?”. Farfarello offre una via di uscita apparente: “Se tu puoi fare di non amarti supremamente”. Gli esseri umani, per realizzare scopi, per concretizzare volontà, per agire, hanno bisogno di considerarsi in grado di plasmare ogni cosa, credono di fare la differenza, sentono che il mondo è a loro disposizione. L’amore sommo di cui si parla e che implica la volontà di perseguire la felicità propria è l’antropocentrismo. La specie umana, come ogni specie vivente, si ritiene eletta e dominatrice: questo, da un lato le permette di essere efficiente, dall’altro la condanna all’infelicità, data la diversità insopprimibile tra percezione di sé e capacità concrete. È il caso di Malambruno che, per esercitare la sua arte trasformativa, deve ricorrere a Belzebù. Evoca forze sovrumane per compiere mutamenti terreni. Grazie a questa alleanza, può conquistare tutto tranne la felicità, perché sperimenta l dolorosa differenza tra le forze evocate e il mutamento compiuto. L’amore, che l’umanità riserva per sé, non può annullarsi, però, poiché: “in vita, non lo può nessun animale”. Dunque, l’infelicità può finire solo nei momenti in cui la vita sembra sparire. Farfarello sembra fornire, in quest’ottica, un altro escamotage: “Sì: cessa, sempre che dormite senza sognare, o che vi coglie uno sfinimento o altro che v’interrompa l’uso dei sensi”. “Ma non mai però mentre sentiamo la nostra propria vita”, conclude Malambruno, che ha capito come stanno le cose e tira le somme del discorso: “Di modo che, assolutamente parlando, il non vivere è sempre meglio del vivere”. Il mago, il potente, la causa efficiente, il principio del mutamento della realtà, l’umanità intera, pensa che, se una certa felicità, cioè la realizzazione infinita di un desiderio infinito, non appartiene alla vita, è meglio morire. Malambruno ha capito di non essere Maradona, perciò assapora l’uscita dal campo; non può bere lo scotch più pregiato, dunque fa uno sciopero della sete; non riesce a rubare la gemma più preziosa, quindi smette di fare il ladro. Farfarello però aggiunge: “Se la privazione dell’infelicità è semplicemente meglio dell’infelicità”. Questo è un passaggio chiave. Se, infatti, la morte è preferibile alla vita, nel caso in cui la privazione dell’infelicità sia meglio dell’infelicità, significa che la vita è preferibile alla morte, nel caso in cui l’infelicità sia meglio della privazione dell’infelicità. Per essere più chiari, la vita viene squalificata dal nostro rifiuto dell'infelicità. In poche parole, se accettiamo l’infelicità, viviamo; se non l’accettiamo, come fa Malambruno il potente, vogliamo morire. L'unica forma di beatitudine possibile è l'amore per il proprio destino, amor fati, come dirà Nietzsche. Il demonietto questo lo sa benissimo e fa al mago una strana richiesta: “Dunque, se ti pare di darmi l’anima prima del tempo, io sono qui pronto per portarmela”.
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