FOLLIA E CONOSCENZA: TRA AVICENNA E PLATONE


La conoscenza ha anche una funzione predittiva. Sapere cosa succederà in futuro, tendenzialmente, permette di evitare pericoli e dolori. Dunque, esiste una certa affinità tra sapienza e profezia. Non è un caso che Avicenna, ad esempio, abbia posto proprio la profezia al vertice del processo conoscitivo, descrivendola peraltro come una sorta di intuito massimamente sviluppato, cioè in termini esclusivamente razionali. Il profeta possiede un “intelletto santo”, connesso alla decima intelligenza celeste, cioè l’intelletto agente, facente parte della gerarchia delle intelligenze divine che culmina in Dio. Il sapere, inteso come profezia, necessita dunque di orientarsi al futuro e richiamarsi ad una divinità o ad un suo surrogato. La conoscenza, finalizzata alla previsione, è superamento dell’immediatezza del presente: questa dislocazione esige la forza di un ente oltre il tempo e lo spazio, di un dio, appunto. La sapienza è, innanzitutto, un’arte mantica, cioè un tentativo di divinazione. Pertanto, non è inopportuno citare a questo proposito il
Fedro di Platone. Nel testo si parla di un certo tipo di follia «derivante da un divino mutamento radicale delle comuni consuetudini». In particolare, degli oracoli – cioè di chi tenta di predire il futuro - si dice: «I beni più grandi ci vengono dalla mania, appunto in virtù di un dono divino. Infatti, la profetessa di Delfi e le sacerdotesse di Dodona [nell’Epiro], quando erano prese da mania, procurarono alla Grecia molti e grandi vantaggi pubblici e privati, mentre quando erano assennate giovarono poco o nulla. E se parlassimo della Sibilla e di tutti gli altri che, avvalendosi dell’arte mantica [arte di prevedere il futuro] ispirata da un dio, con le loro predizioni in molti casi indirizzarono bene molte persone verso il futuro, ci dilungheremmo dicendo cose note a tutti. Merita certamente di essere addotto come testimonianza il fatto che tra gli antichi coloro che coniavano i nomi non ritenevano la mania una cosa vergognosa o riprovevole». Se il sapere è, come abbiamo detto, profezia, il discorso inerente agli oracoli può essere esteso ai sapienti. Possiamo dire, dunque, che la follia è il fondamento della conoscenza-profezia. La follia è da intendersi, in questo caso, come trasgressione. Le violazioni compiute dal sapiente-profeta sono molte, riassumibili nel superamento dell’immediatezza, di cui parlavamo: l’ampliamento della propria geografia mentale implica la negazione del presente, in favore del futuro; il rifiuto dello spazio limitato dell’esperienza; il richiamo, implicito o esplicito, ad un dio appartenente al mondo invisibile. Per conoscere, il conoscente deve, in altre parole, dimenticarsi di sé e dei suoi limiti umani. Ecco la trasgressione, la follia che fonda la conoscenza: l’abbandono della condizione individuale. La preda si dimentica di sé e diventa predatore, dominando il futuro.


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