Satura di Bruna Lucia Giliberto
Certi libri non si leggono, si mangiano. Satura è una di queste pietanze verbali. Affinché un susseguirsi ordinato di lettere diventi cibo commestibile, è necessario che le pagine pulsino. Sangue, circolazione, anatomia, respiro: la vita nuda ferve in Satura. È possibile rintracciare un gusto unico in questa vivanda variegata? È lecito individuare delle invarianze nel moto della messinscena? Risponderemo stabilendo delle ricorrenze. È la ricorrenza stessa, come ciclicità, a ricorrere. Il tempo greco, l’uroboro, è protagonista di Satura. Ciò che fu, sarà. Questa legge informa le esistenze dei personaggi. La ripetizione a volte è una prigione, altre volte è un’occasione di riscatto. Circe, fulcro del racconto omonimo, è reclusa nell’attesa e nella cura di Lui. Il passato, il presente e il futuro sono segnati dall’ossessione e dalla scoperta dell’animalità dell’umano: “E ci fu la tigre, il rospo e la falena; il topo, la libellula e il cavallo”. La stessa bestialità guida il tirocinio scellerato di Cassandra in La danza ebbra e di Persefone in Ombre: entrambe, inizialmente avvolte in un velo apollineo, si tuffano, volontariamente o no, nel mare dionisiaco. In Satura, prevale una gnoseologia tutta mondana, perché: “La risposta sono i corpi, e nei corpi le anime si conoscono da sempre”. È nei corpi la fame continua di Luna Rosso Sangue così come la fame interrotta di Fumo. Le bocche si incontrano, si baciano, si parlano ma, soprattutto, si mangiano vicendevolmente. La realtà, in questo libro-piatto, è un pezzo di carne, tagliato non troppo sottile, come si dice in De gustibus, racconto con il quale si chiude la prima parte. La seconda parte è caratterizzata dal medesimo sarcasmo. I personaggi non sono più mutuati dalla mitologia, apparentemente. Gli dèi operano ancora, sotto mentite spoglie. Così come nel mito, essi si trasformano, cambiano fattezze, ingannano i mortali -in questo caso, noi lettori -, ma non vanno via. Non facciamo fatica ad immaginare Eva di Lifewatching come una ninfa; oppure Tina di Tradimento come una sacerdotessa del tempio di Atena. Questa dislocazione simulata, dal piano divino a quello umano, denuncia, comunque, un moto verso il basso, generato dalla lettura di Satura. Ecco nuovamente la natura interamente sensibile del libro. Ogni trascendenza cede il passo all’immanenza. Ogni altrove risiede sempre nei corpi. Ogni iperuranio viene scalzato da un regno di desideri umanissimi. La rinascita sta nella carne divina: “L’Occidente aveva portato la morte nel mondo, e tu volevi restituire al mondo la vita. Rimanesti incinta”, come si dice in Guerra. Restituire al mondo la vita: è questa forse la vocazione di una letteratura fedele alla terra. Satura ci dà la possibilità di assaporare, gustare, apprezzare ciò che spesso fugge negli infiniti “lassù”. Al lettore non rimane che accogliere questa offerta, un tempo destinata agli dèi e ora rivolta alle nostre viscere, alle nostre profondità sensibili, a noi.
Ribadisco: io amo questa recensione.
RispondiEliminaGrazie.
Bruna