Ulisse, Horkeimer e le sirene: piaceri e dolori della ragione

 Horkheimer, in Eclissi della ragione, pone le radici della logica del dominio "nell'oggettivazione primitiva, nello sguardo con cui il primo uomo vide il mondo come una preda" (Eclissi della ragione, p. 151). L'essere umano teme la morte e l'ignoto. Pensa, per porre rimedio all'orrore. Frantuma l'unità tra soggetto e oggetto, per far sì che quest'ultimo si renda dominabile, manipolabile, annientabile. L'illuminismo (qui inteso come pensiero in generale) "ha perseguito da sempre l'obiettivo di togliere agli uomini la paura e di renderli padroni" (Ib., p. 11). La volontà di imporsi sulla natura ha reso l'essere umano schiavo della conquista, del dovere coloniale, della fatica lavorativa. Non è un caso che l'etica conseguente al sapere occidentale sia sostanzialmente un inno alla privazione. In concreto, "La storia della civiltà è la storia dell'introversione del sacrificio. In altre parole: la storia della rinuncia" (Ib., p. 62). Assieme ad Adorno, in Dialettica dell'illuminismo, Horkheimer analizza la figura di Ulisse, come campione dell'illuminismo borghese. La riflessione si concentra sulla funzione del piacere nella logica del dominio e sulla ripartizione del sacrificio in un contesto gerarchico. Il piacere è accettato solo se non è un impedimento al conseguimento dei propri scopi: Ulisse giace con Circe, dopo che la maga gli ha promesso di non trasformarlo in un maiale; in altri casi (fiori di loto e buoi di Iperione), Ulisse, assorbito dalla propria missione (e dai propri interessi), non si lascia andare. Il sacrificio non è, dati l'assetto gerarchico della società e l'iniqua divisione del lavoro, egualmente ripartito. Tutti rinunciano all'istinto, ma non allo stesso modo. Al padrone spetta il compito di stabilire la quantità di privazione che spetta a ciascuno. È emblematico l'episodio delle sirene. Ulisse, il capo, sente il canto, ma è legato; gli altri, i dominanti, non possono godere affatto del canto, perché hanno i tappi alle orecchie. "Egli ode, ma impotente, legato all'albero della nave, e più la tentazione diventa, e più strettamente si fa legare, così come, più tardi anche i borghesi si negheranno più tenacemente la felicità, quanto più - crescendo la loro potenza - l'avranno a portata di mano" (Dialettica dell'illuminismo, p. 41). I compagni, nonostante egli implori di essere slegato, restano ligi: salvano il capo, per salvare la società, pensata in termini autoritari; lo tengono legato prima di tutto al suo ruolo: all'incatenamento, alla privazione, al mancato godimento che questo comporta. Il dominante è dominato. Ogni tentazione di non esserlo viene repressa. La frustrazione è l'unico condimento della vita, altrimenti insipida, degli oppressori: "la loro tentazione è neutralizzata a puro oggetto di contemplazione, arte" (Ib., p. 42). 



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