GIULIO CESARE VANINI: IL NATURALISMO EROICO
“Dissero
che offendevi Dio. Ti maledissero, / ti compressero il cuore, ti legarono, / ti
diedero alle fiamme, te, il Santo. / Perché non sei tornato dal cielo / avvolto
nelle fiamme, per colpirli / i blasfemi, suscitare la tempesta / disperderne le
ceneri di barbari / dalla tua terra e dalla tua patria! / Ma la santa Natura,
che tu amasti / in vita, e che ti accolse nella morte, / perdona. E i tuoi
nemici ritornarono / nella sua antica pace con te”. Hölderlin dedicò queste
parole a Giulio Cesare Vanini, filosofo pugliese, vissuto a cavallo tra ‘500 e
‘600. Giustiziato come «ateo e bestemmiatore del nome di Dio», pare che le sue ultime parole siano state:
“Andiamo, andiamo allegramente a morire da filosofo”. I testi che ci sono
giunti sono due: l’Amphitheatrum aeternae providentiae (L’Anfiteatro
dell’eterna provvidenza) e il De
admirandis naturae arcanis (Delle
mirabili nature arcane). Attraverso i quali, Vanini conduce una battaglia
doppia: sul piano storico-politico, critica le istituzioni religiose, come
strumenti di dominio; dal punto di vista concettuale, nega la trascendenza
divina, in favore della natura, unica sede della realtà. Il culto ha una
funzione pratica: “doma la crudeltà d’animo, pone un freno ai piaceri e rende i
sudditi ossequiosi nei confronti del principe”. Ciò è chiaro anche nel caso delle
prescrizioni particolari, come i divieti alimentari: “le carni suine erano
nocive agli Ebrei che erano travagliati dalla lebbra”. La devozione è uno
strumento di repressione: impedisce l’uso della forza, deprezza il godimento,
favorisce l’obbedienza. Come si instaura la legge religiosa? Essa è, in primo
luogo, falsa, dato che è vera la “sola Legge della Natura. Perché la stessa
Natura, che è Dio (infatti è il principio del moto), scolpì
tale legge negli animi di tutti i popoli. Le altre religioni, invece, non erano
[…] se non finzioni ed illusioni”. Inoltre, visto che “solo la religione mi
persuade che i demoni esistono”, si può ben dire che l’autoritarismo che la
caratterizza non è riconducibile all’azione di esseri maligni immaginari o del
male, genericamente inteso, ma è il risultato della precisa volontà di
ammaestramento dei governanti, suffragati dai sacerdoti “sempre a caccia di onori
e di oro”. I miracoli e la promessa di giuste ricompense nell’aldilà sono i
principali strumenti di cui si serve la legge religiosa per attecchire presso i
fedeli. “I libri sacri […] narrano di miracoli compiuti e promettono le giuste
ricompense per le buone e cattive azioni, non in questa, ma nella vita futura
affinché la frode non possa essere scoperta. Infatti, chi mai fece ritorno
dall’altro mondo? […] Così il rozzo popolino è costretto all’obbedienza per il
timore del Supremo Nume che tutto vede e compensa ogni azione con castighi e
premi eterni”. Vanini stabilisce un nesso forte tra politica e religione. La
legge religiosa ha, infatti, gli stessi connotati della legge civile. Essa vale,
innanzitutto, solo per i governati: “Le persone più in vista e i filosofi,
invece, non si lasciarono affatto trarre in inganno”. Ancora una volta, la
norma stabilisce una gerarchia, una differenza, una distribuzione iniqua della
verità. Un altro fattore di diversificazione è l’uso: i dominanti considerano
la religione un mezzo; i dominati, un fine. Lo scopo del culto, come abbiamo
già accennato, è: “la conservazione e l’allargamento dell’Impero (perché si
tratta di scopi che non si possono raggiungere se non con il pretesto di una
religione)”. Tra religione e potere non c’è dunque un rapporto accidentale, ma
essenziale. Non esiste l’una, senza l’altro. Potremmo dire che ogni potere si
manifesta religiosamente e viceversa. Ad esempio, “a coloro che morivano per lo
Stato promettevano premi eterni […]. Inoltre, stabilivano che si dovessero
venerare come divinità gli uomini e così questi, combattendo valorosamente per
la patria, aspiravano a diventare dèi”. I filosofi sono coscienti dell’inganno
ma non sono esenti dalla paura; dunque: “si rendevano conto che tutte queste
cose erano favole, tuttavia per timore del pubblico potere erano costretti al
silenzio”. Dio, distinto dalla Natura, è la fandonia principale. Infatti, poiché
di Lui non si possono predicare attributi positivi (onnipotente, buono,
sapiente, etc.), gli si ascrivono caratteristiche astratte (onnipotenza, bontà,
sapienza, etc.), però: “questi predicati gli sono talmente intrinseci da
identificarsi con lui stesso, anzi gli sono così inerenti che non rimane nulla
né prima, né dopo di essi”. Ciò che risulta dal pensiero sulla trascendenza è
contraddittorio. Si può dire di Dio ogni assurdità: “È semplice e nulla è in
Lui in potenza, ma tutto in atto, anzi, Egli stesso è puro, primo, medio ed
ultimo atto. Infine è tutto su tutto, fuori di tutto, in tutto, oltre tutto,
prima di tutto e tutto dopo tutto”.
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